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Lui & Lei

nel magazzino


di amichetta
24.09.2017    |    2.174    |    0 9.2
"Il furgone si mise in moto e con lui si aprì il sipario..."
1- Avevo 13 anni e frequentavo la terza media. Imprevedibilmente avevo instaurato una tragica fiaba con un uomo adulto, sposato, più vecchio di mio padre con una figlia più grande di me. Di quell’uomo - un idraulico - ne ho già ampiamente mentovato nelle mie precedenti pubblicazioni (le mie prime esperienze/ risposta a una mail) per cui chi desiderasse chiarimenti lo invito ad approfondire leggendo quei racconti. Ci ritrovavamo nel parcheggio di un cimitero e dopo scrupolose scandagliate, sgattaiolavo sul suo furgone dalla porta laterale per poi uscirne quando, alla distanza di un paio di km, fosse entrato e parcheggiato nel suo capanno adibito a magazzino e ufficio. Abbassata la saracinesca ci recavamo in ufficio, un ambiente non lussuoso ma accogliente e soprattutto sicuro come un bunker, dove, la certezza di non essere adocchiati era assoluta. Nei primi abboccamenti ci limitammo a dialogare sul più e sul meno, tanto per entrare in confidenza, ma le sue finalità di base erano macroscopiche. Con scarne avance mi trasmise la visione netta delle aspettative che osava sperare di concludere. Mi disse che avendo la necessita di assumere una contabile -anche per poche ore alla settimana- avremmo potuto mascherare una mia assunzione come pretesto per mascherare la sua vera aspirazione, che, altro non era che quella di avermi come amante. Nemmeno avessi camminato col campanello di richiamo attaccato ai piedi. Inutile descrivere i comprensibili esiziali rischi che correvo se avessi accettato di affittare il mio corpo. Ma a quel tempo la mia prudenza fu conforme alla mia età poiché la strada che stavo percorrendo era lastricata da infernali tentazioni. La mia decisione fu influenzata dalla sua signorilità, dal suo sorriso nettato da ogni malizia che non lasciava dubbi sulle sue benevoli intenzioni. Dal canto suo, la smania di avermi lo persuadeva a soprassedere a ogni rischio: quanta dolcezza gli traspariva da tale proposito. Mi disse che la sua determinazione era supportata dalla grande fiducia che aveva in me, dalla mia aria da sirena, dal mio ragionare intellegibile, dalla certezza che avrei saputo mantenere la bocca tappata sulla sua indecente, abominevole, esecrabile condotta. Egli mi avrebbe ricambiato con laute “mance” eludendo raffinatamente il termine “pagata” come sarebbe convenuto a una prostituta. Io ribattevo mettendo in evidenza che per il lavoro avrei dovuto avere il consenso dei miei genitori, che nei suoi riguardi avevo un immenso debito di riconoscenza da scontare, ma avevo anche una reputazione da difendere. Non sarebbe stata davvero la scelta giusta se poi, crescendo avessi desiderato iniziare una relazione per la vita. Che ormai ero una donna e che sarebbe stato un bel guaio se sciaguratamente fossi rimasta in cinta. Egli con mirabile facondia, mi rispose che comunque fosse andata non potevo sapere se l’uomo che mi avesse deflorata sarebbe stato quello della vita. L’illibatezza era una esigenza che non veniva più richiesta, una usanza che apparteneva a un tempo ormai lontano, una disuguaglianza di una epoca ormai tramontata. Che la rotta perigliosa della virtù non sarebbe stata la più sicura, che la scelta della rettitudine non avrebbe comportato fonte di delizia. Che in un universo marcio come quello in cui vivevamo non potevo che inviarmi alla immoralità. Persuaso di avermi detto abbastanza per convincermi passò all’abbordaggio facendomi proposte concrete. Dal canto mio feci la scandalizzata accusandolo di sobillarmi con argomenti meschini e volgari, che mi spaventava e mi disgustava. Tuttavia tergiversai promettendogli che dovendo a lui riconoscenza e dovendo decidere su una materia troppo seria, lo assicurai che ci sarebbe stata una meditazione in proposito. Era una ghiotta opportunità da non perdere e la cosa che aveva attratto il mio interesse. Oltre alla gioia di poter assaporare soldi tutti miei, fu - la pillola antifecondativa - che mi aveva assicurato di poter farmi avere: del come, non mi fu dato a sapere, ma il fatto non interagì sulle mie decisioni. Accettare di essere pagata mi lasciava un retrogusto sgradevole, ma dovevo anche tener presente che con mio fratello, del quale ero ormai preda di una trappola emotiva, mi sforacchiava anche due volte al dì come se fossi una bambolina voodoo, senza strategia e senza tattica animato dall’unico fine di godersi e farmi male. Dallo sgarbato pretendevo il profilattico e dato l’alto costo degli stessi per la nostra ristretta finanza stavano realmente diventando uno sfoggio proibitivo. Per quanto mi proponesse di inchiappettarmi dal di dietro, diceva lui “al naturale” per risparmiare, io non mi lasciavo convincere. Lo stretto sentiero era un confine, un perimetro che non doveva essere superato perché non era come quello del davanti che poteva essere tirato da una parte e dall’altra, ma che rimaneva, come un elastico sempre lo stesso elemento essenziale. Una volta forzato la sua resilienza non sarebbe più tornato alle sue origini. Lo evincevo dalle numerose foto che sbirciavo su riviste porno che la mia amica Dxxx mi passava alla chetichella. Mio fratello aveva un mediocre cazzino, molto al di sotto della media e avrei anche potuto provarci, ma, ciò nonostante consideravo le misure dei due organi comunque troppo sproporzionate: e, anche se non proprio intonso, ma avvezzato solo a dita, carote e piccoli cetrioli, nel complesso io ci tenevo alla salubrità del mio iato. A supplemento il davanti era occasionalmente alloggio di altri inquilini più o meno valenti, per cui la pillola sarebbe stata la panacea, la soluzione di tutte le mie preoccupazioni e avrebbe smorzato il mio costante timore di sfoggiare un bel pancione. Le incognite erano numerose e i problemi che si presentavano all’orizzonte molteplici. Il più ostico da aggirare sarebbe stata la sua assoluta convinzione che fossi una deliziosa ragazzina ingenua, col candore dell’età e la purezza di una vestale di primo pelo, un fiore da coltivare e recidere proprio mentre era ancora in bocciolo. Ma quando si sarebbe messo a navigare piuttosto in basso, nelle profondità del mio ben allenato organismo scoprendo le mie reali condizioni di ragazza scandalosamente spampanata, mi avrebbe impresso a fuoco il marchio ignominioso della donna di malaffare. Se non mi avesse strozzata per essermi presa gioco di lui. Avevo esperito alcuni mesi prima, così, tanto per emulare una mia amica e provare com’era, la irrevocabile frattura definitiva dell’imene per opera di un fantino del quale facevo il tifo, ben dotato, che consideravo esperto e adeguato per domare l’esordiente cavallina. Venni rassodata poi con alcune trombate effettuate con altri ragazzi in varie occasioni e temprata con quelle incestuose, seppur dall’acre sapore, con ritmo giornaliero imposte dal viscido stronzetto. Ormai avevo il varco aperto e reso agevole a ogni dimensione. Il fatto che avesse pressappoco il triplo dei miei anni non costituiva un periglioso scoglio, anzi mi convinsi che sarebbe stato un viaggio emotivo, un percorso di crescita e formazione. La pillola era la spinta principale, ma siccome tutto quello che viene donato senza corrispettivo perde perciò d’importanza, una -ricompensa- sarebbe stata veneranda. Tutt’al più avrei dovuto oscurarmi gli occhi e divaricare le gambe. In pectoris avevo già deciso, ma mi restava da superare l’inghippo della irrecuperabile verginità. Particolare attrattiva che avrebbe preteso solo per poterla macellare subito dopo averla avvertita. Turlupinare un giovanetto sarebbe stato relativamente semplice, ma avendo a che fare con un adulto incline alla inverecondia con consolidata esperienza in materia di ragazzine, avrei dovuto affinare una diavoleria, un ingegnoso espediente. E per pianificarlo avrei dovuto raggirare la sua intelligenza e fare sfoggio di tutto il mio intelletto. Presi cognizione del fatto che avrei dovuto tergiversare fino al giorno in cui fossi stata certa di aver escogitato il machiavellico inganno: guardinga di non restare impigliata nel mio stesso laccio.
2- Alcuni giorni dopo ripassando per quella strada vidi il furgone parcheggiato al solito posto e d’istinto, senza riflettere decisi come un automa di fermarmi. Parcheggiai la bici e mi diressi verso i bagni auspicando in una replica. Egli stava lavorando al medesimo impianto e come mi vide avvicinarmi a lui mi salutò con un °° ciao.°° Il suo tono non era del tutto normale, anche la sua espressione, occhi compresi, parevano naturalissimi, ma mi lanciò un’occhiata maligna di trionfo. Io mi sentivo gli occhi del mondo puntati addosso, l’atmosfera si era fatta pesante per una ragazzotta ruspante, timida e insicura che voleva fare la grintosa. Ben consapevole di non essermi mai sentita tanto sconvolta e tanto smarrita, in una specie di cupio dissolvi ci tenni a fargli vedere che non ero piccola e che facevo sul serio. L’approccio fu telepatico. La mia presenza rivelò la mia disponibilità ad assecondare la sua missione di svezzare la pseudo verginella. Come al solito affabile ma circospetta, estenuata quasi al collasso, gli donavo sorrisi forzati, malcelata insofferenza, distanze calcolate e ogni tanto dovevo sopprimere la tentazione di scappare via. Ora lo scenario era completamente cambiato, i preparativi per l’incontro erano già iniziati e con notevoli difficoltà, di mia iniziativa andai al punto cruciale. Non accennai mai a danaro, ma gli dissi che nessun uomo mi avrebbe avvicinata se prima non fossi stata protetta dal non farmi gonfiare la pancia, e solo la pillola anticoncezionale che lui mi aveva promesso di farmi avere avrebbe aperto la strada al viaggio inaugurale. Egli sgranò gli occhi attonito. °° Va bene, accetto le tue richieste, e io sono uno che mantiene sempre le promesse, a patto che siano vicendevolmente rispettate. °° Ribadì, e continuò proponendomi una esercitazione, un esperimento di come muoversi in futuro, conoscere il nido del peccato dove lui mi avrebbe tolto la fanciullezza poiché promettendomi quei danari di cui ne ero famelica, mi instradava ad essere la sua amante, oltre a plasmarmi in una donna di vita.
Fui io ad essere basita, ma senza proferir parola accettai e senza formulare obiezioni a distanza lo seguii. Mi indirizzai al furgone e quando gli fui di fianco trovai la portiera laterale aperta.
Senza riflettere in quale guaio potevo cacciarmi, salii. Mi ritrovai tra tubi e utensili: un gran casino di ferraglie. La porta si chiuse e senza nessuna altra nuova poco dopo il veicolo partì. Dopo pochi minuti di traballamento si arrestò, sentii la basculante sollevarsi e il furgone entrò dentro il magazzino. La portiera si riapri e io ne discesi. Mi ritrovai tra attrezzi e scatoloni, ma non ci feci caso. Mi disse: °°seguimi°° come una cagnolina ossequiente segui i suoi passi. Mi condusse nel suo ufficio, il posto in cui forse un giorno avrei lavorato alle sue dipendenze. Di nuovo mi fece sentire la sua voce. ° ° Accomodati, parliamo un po’.°° Per quanto provassi ripugnanza per quello che stavo facendo, l’attempato a cui già davo del tu, mi parve più piacente e prestante di quei giovani che già conoscevo coi quali avevo scopato. Mi sedetti sul divano, e, in quel punto, totalmente indifesa avrei potuto essere stata una sua vittima, salassata a suo piacimento, stuprata senza che nessuno sapesse dove fossi e senza sperare in soccorsi. Ma non accadde nulla di allarmante, la sua signorilità non venne smentita. Lui, seduto dietro la scrivania mi chiese se volevo un cioccolatino, se avevo sete, se fossi stata bisognosa di qualcosa. Gli risposi che quel giorno avevo poco tempo a disposizione in quanto una mia amica mi stava aspettando e se avessi tardato, ignara della mia sventatezza, avrebbe telefonato a casa mia scatenando un putiferio di perplessità. Corsi quel rischio perché avevo una domanda che mi scottava le labbra tanto che saltò fuori irreprimibile. Non trovando le parole giuste per dirla mi espressi senza grande tatto. Volli sapere se e quante donne aveva portato in quell’alcova. Egli sgranò gli occhi sbalordito dalla mia impertinenza. °° L’ha usata più mia figlia che avendo le chiavi per le pulizie preferiva non correre rischi scopando in auto. Io ne ho fatto uso molto tempo fa, quando ancora non c’era il divano su cui sei seduta. Nella fattispecie con una sola donna, la prima non prostituta che ho posseduto. Se vuoi e hai ancora qualche minuto e non ti scandalizzerai, ti posso raccontare un episodio che ha del comico.°° Sembrava desideroso di parlare, e così lasciai che proseguisse --Sono tutta orecchi e molto curiosa di conoscerlo, usa pure il linguaggio che più gli si addice.-- °° E’ accaduto una sera in cui eravamo stati a casa di un mio amico con la passione dei proiettori. Allora c’erano ancora i video 8, mi pare, dove insieme alla sua ragazza assistemmo alla proiezione su di un telo di stoffa bianca alcuni filmini pornografi ancora muti. Una novità per entrambe le due ragazze presenti. Dopodiché, come era già accaduto altre volte, venimmo qua, proprio in questo ufficio. Come sempre accadeva incominciammo ad amoreggiare. Ma quella notte lei era diversa, entrambi eravamo diversi. Percependola più accaldata e disponibile osai sempre di più coi toccamenti fino ad arrivare a infilarle una mano sotto il cavallo delle mutande: libertà che non mi aveva mai concesso. La sentii tutta calda e bagnata. Il che mi eccitò maledettamente. Interpretai la concessione come un invito a possederla: capirai, sarebbe stata la prima volta che me la dava. Colto dal timore che poi potesse ripensarci passai subito ai fatti. Mi slacciai i pantaloni e invece di metterglielo tra le cosce come facevo di solito mirai subito al bersaglio principale che avevo avvertito tanto invitante. Lei tremava come una foglia al vento. Non sapevo, o almeno non ero ancora certo se per lei potesse essere la sua prima chiavata che stava per cuccarsi. Aveva ancora le mutandine addosso: figurati, ci avrebbe voluto troppo tempo per toglierle, in più temevo di spezzare la sua contemplazione e la mia conseguente auspicata risoluzione, dovevo battere il ferro finché era bollente se volevo mettere il tappo sull’intera faccenda. Lei smaniava come una troia tenendo le gambe ben aperte mentre io cercavo in tutti i modi di infilarglielo in mezzo alle cosce, ma il cavallo delle mutande me lo impediva. Lo spostavo a sinistra con una mano ma appena la toglievo per fare posto alla testa del cazzo tornava al suo posto. Porca vacca, che lotta. Alla fine riuscii a spostarlo con la cappoccia dell’uccello: ce l’avevo talmente duro che mi scoppiava. Finalmente compresi che avevo imboccato la fessura giusta e senza indugiare, con fretta e furia dati dal timore che lei potesse cambiare idea, diedi il primo abbrivio. Solo in quel frangente lei sembrò ridestarsi dall’estasi e come temevo, si mise a respingermi. Ma ormai come puoi ben comprendere era troppo tardi per i ripensamenti. Con la cappella ammollo tra i suoi petali caldi e bagnati a quella giovane età, infoiato come ero e la brama di figa che trasudavo, dove avrei trovato la determinazione per retrocedere? Una domanda che mi sono sempre posto: si era realmente svegliata da un incantesimo o era stata tutta una finzione per salvaguardare la sua interezza? Sta di fatto che si era innescato il viaggio verso il paradiso e dovevo fare presto se volevo suggellare. Eravamo ancora in piedi, proprio in questo angolo. Così io la avvolsi a me, addentrai le ginocchia tra le sue gambe impedendole così di chiuderle e diedi una spinta verso l’alto che l’alzò da terra di almeno cinque centimetri. Prima che l’ariete le aprisse la breccia ho provato la sensazione che una rete mi avesse avvolta la cappella e per un attimo un nervo teso me l’avesse incisa. Poi fu come immergerlo in una vasca di olio bollente. Lei contemporaneamente emise un urlo acuto tentando in ogni modo di liberarsi di me, ma ormai la verga durissima le era penetrata tutta dentro l’abisso. Dai suoi lamenti sembrava soffrisse le pene dell’inferno ma io interpretavo il suo dimenarsi come una ossessa come se fosse stato godimento, così con l’animalesca lussuria che mi dominava, convinto di compiacerla, ho continuato a sbatterla fino a sfiancarle le reni. Ma ormai non c’era più niente da slargare.
3. Provai a moderarmi per preservarmi più a lungo, ma mi restò solo il tempo per altri tre poderosi su e giù, poi dovetti risolvere in una perentoria uscita per non riversarle l’incenso dentro la fossa.
Ormai stavo godendo e proprio mentre erano cominciati i primi spruzzi di sbobba per dare ai sensi il pieno raggiungimento dell’estasi, le premetti il manganello sulla pancia continuando i movimenti come se la stessi ancora scopando mantenendola inchiodata fino a quando mi fui stemperato. Ancora in balia dei sensi per l’infiammazione e il raro eccelso godimento che avevo assaggiato, in seguito, rilassandomi mi resi conto di quanto lei soffrisse. Nell’immediato attribuii, ammesso che il suo soffrire fosse reale, alla pressione che dovetti applicare per entrare in lei, a quando ebbi la netta sensazione che una rete mi avvolgesse la cappella, a quel nervetto che doveva essersi strappato quando brutalmente ero penetrato in lei fino alla radice. L’avevo fottuta come fosse stata la più spregevole delle zoccole e non mi rendevo conto di quanto stesse patendo. Tuttavia, mi parve strano che una deflorazione, quella che doveva essere la tanto celeberrima lacerazione dell’imene potesse essere tanto dolorosa. Ma se prima ero stato attivato dai suoi sussulti, se mi ero esaltavo nel sentirla soffrire fino allo spasimo, dopo provai rimorso, come un senso di colpa. La guardai in viso, aveva gli occhi traboccanti di lacrime, il viso contratto dalla sofferenza. Si muoveva con difficoltà: le alzai le sottane per ispezionarla e scorsi le sue mutande macchiate di sangue dall’elastico al cavallo che era divenuto tutto rosso. Anche il mio batacchio a penzoloni ma ancora gonfio era macchiato del suo sangue. Quale macello avevo combinato? Non avrei mai pensato che una scopata potesse fare tanti danni e mi decisi a chiederle se davvero le facesse così tanto male! Lei non mi rispose, ma si girò, si alzò la gonna e mi mostrò il retrobottega. Restai allibito. Per un attimo mi balenò alla mente: macché! Forse la mammina l’aveva istruita di non aprire le gambe per non farsi impregnare e, se proprio non avesse potuto evitarlo, di farselo infilare nell’innominato buco? Con una mano si teneva sollevata la gonna e con l’altra tentava di abbassarsi le mutande. Io ancora non capivo. Solo quando mi apparvero le nude montagnole carnose mi resi conto dell’accaduto. Mentre la fottevo l’avevo spremuta col culo incollato al termo bollente, il quale le aveva fuso le mutande e impresso a caldo due linee molto appariscenti sulle chiappe.
Appena mi resi conto il vero motivo per il quale lei soffriva tanto, mi sentii sollevato e per poco non mi scompigliai dalle risate. Tu non ci trovi nulla di comico? °° Rivolgendomi quella domanda, parve aver finito il suo racconto che mi aveva snocciolato tutto d’un fiato come fanno i venditori per non essere interrotti. Quello sprazzo di spirito mi stupì. Tuttavia, confidandosi liberamente e spontaneamente mi dimostrò la fiducia che riponeva in me, e io mi sentii una sua pari. E non ero intenzionata a deluderlo. Gli risposi dicendogli che a me aveva fatto venire una fifa blu e continuai chiedendogli se quando sarebbe toccato a me essere messa -al palo-, mi avrebbe riservato lo stesso trattamento. Con occhi lustri e febbrili, con la stessa franchezza iniziale mi diede tutte le rassicurazioni di rito. °° No, no, stai tranquilla, anche se il pensiero di farlo mi affascina tantissimo.°° Io, per placare la mia curiosità, gli chiesi com’era poi andata a finire la storia di quella sera. Dopo un sorriso di compiacimento, mi rispose: °°Appena resomi conto presi subito i provvedimenti che ritenni opportuni. Dopo aver imbevuto dei tovaglioli di carta le raffreddai le chiappette tutte rosse e parve averne subito dei benefici. Per agevolare la medicazione la appoggiai proprio su questa scrivania e continuai per almeno una quindicina di minuti. Il danno si rivelò meno grave del previsto, ma per darle il maggior sollievo possibile continuai l’applicazione terapeutica. In quella posizione, praticamente messa a 90°, mi mostrava oltre alle montagnole anche la fessa imbrattata di sangue. Con delicatezza passai a lustrargliela e lei sembrò gradirlo. A me vedere quel taglietto, tornai ad avvamparmi e prima che mi diventasse troppo duro, con il pretesto dell’acqua fresca andai in bagno, dove mi lavai l’uccello e con difficoltà riuscii a fare la pipì. Se ti stai chiedendo il perché di una tale esigenza ora te lo spiego. Dopo quel lungo intermezzo, mi stava venendo una gran voglia di fotterla ancora una volta, ma avendo l’uretra ancora intasata di sperma avrei potuto metterla in cinta. Se non sei illuminata su questo particolare ne riparleremo a tempo debito. Appena tornai mi dedicai subito alla sue grandi labbra trascurando le chiappe ormai quasi sbollite. Dopo alcuni minuti le macchie di sangue erano scomparse e a me il cazzo era tornato duro. Con lei che finalmente era rimasta senza le mutande, mi fu facile sostituire la carta con la punta della cappella e pacatamente gliela accarezzai, poi, adagio, piano, piano le feci entrare tutta la testa. Lei sussultò. / Hahiaaa! fai piano! mi fai male! Andare più piano sarebbe equivalso a non fare nulla per cui non desistetti, anzi per tutta risposta lo spinsi dentro limitandomi a poco più della metà della sua lunghezza per evitare di strusciarle la pelle delle chiappe ancora arrossata. Lei si mise a mugolare e incominciò a dimenarsi. A quel punto, pronto e rinvigorito non ebbi più remore e lo spinsi più a fondo, fino alla base del tronco. Subito dopo si avviò a sbraitare, tanto che si mise una mano sulla bocca per non urlare. Poi fu colta da un parossismo di eccitazione dietro l’altro. Le viscere parve trasformarseli in liquido bollente. Le gambe le mancavano tanto che dovetti sostenerla. Io, ho provato la sensazione di avere la verga dentro a un tritacarne, ma era il secondo tempo e resistetti ancora per un bel po’. In seguito ho dovuto ripiegare in una rapida ritirata venendogli proprio sulle chiappe sofferenti. Così, inzaccherata dai miei spruzzi di sbobba, dovetti ripulirla. Ormai si era fatta notte inoltrata e la serata si concluse. Con tutti gli accorgimenti possibili la accompagnai a casa. Credo di non aver tralasciato nulla: soddisfatta?°° Il gusto che provava nel narrare quell’episodio mi suggerì che nella sua mente l’avesse vissuto e rivissuto centinaia di volte e come effetto collaterale anelasse ripeterlo con me. Si, potevo considerarmi soddisfatta e arricchita di alcune nozioni interessanti. --Si!-- gli risposi e continuai con, -- anche per me si è fatto molto tardi, devi subito riportarmi al cimitero.-- Senza altri commenti si alzò e io lo imitai. Non mi sfuggì il gonfiore che mostrava la patta dei suoi pantaloni e ne dedussi che quell’uomo sarebbe stata una macchina molto esigente. Anch’io ero grondante in mezzo alle gambe, tanto che diedi una rapida occhiata per controllare se avessi macchiato il divano. In breve mi ritrovai sul furgone, seduta in malo modo su della ferraglia venivo sballottata su e giù, il ché contribuì a ridurmi ad una lastra di fuoco da non riuscire più a sopportare oltre. Venni alla risoluzione di portarmi una mano sotto al cavallo delle mutande tentai in tutti i modi di darmi sfogo alla istigazione patita. Ma il traballamento, l’ansia di concludere nel silenzio prolungava l’agonia. Quando intravidi il luogo predestinato compresi che il tempo era scaduto e la terapia non poteva avere successo. Arrivati, lui mi disse semplicemente, °°a presto°° io, ben colorita in volto, con un mezzo rantolo soffocato nel fondo della gola gli risposi: --contaci.-- Poi scesi, lui mi seguì con lo sguardo mentre mi allontanavo fino a quando mi dileguai.
4/ Inforcata la bici arrivai a casa della mia amica Dxxx con la quale avevo un appuntamento per il pomeriggio. Appena mi vide mi chiese come mai ero così in ritardo. Poi aggiunse: ++cos’hai? non ti ho mai vista tanto sconvolta.++ Era dunque così evidente? Dovetti inventarmi una frottola. Gli dissi che ero stata abbordata per strada da un ragazzo che conoscevo il quale mi aveva galvanizzata. Aggiunsi che se fossimo stati in un luogo più appartato avremmo scopato. ++ Hooo, la coniglietta è andata in fregola, ho proprio quello che ti si addice: torno subito++ Usci dalla stanza e rientrò una manciata di minuti dopo. Teneva in mano un sacchetto bianco dal quale ne estrasse un lungo cacciavite. La mia reazione è stato uno shock. --Ma sei matta, ma che vuoi fare con quello.-- ++ Tranquilla.++ Mi disse, ++ti assicuro che funzionerà, fidati!++ Io l’interpretai come dire che lei l’aveva già collaudato. Era lungo una quarantina di cm, con un manico color arancio scuro dalla forma cilindrica ma con grosse scanalature. Lo prese per lo stelo di ferro di almeno un cm. di diametro mostrandomi il manico minaccioso. Un acre ondata di paura mi attraversò la mente.--Mi fai paura; mica vorraii-- Dxxx con me si era adoperata in numerose altre alterne situazioni e io per timori di emarginazioni e per complessi di inferiorità, spesso mi schiavizzavo di fare da cavia, e anche quella volta dopo pochi attimi mi aveva già contagiata. --Ma tua madre, se ci scopre.-- ++Mia madre ha altro a cui pensare, su, da brava, siediti e metti le gambe sul tavolo, tu non pensare a niente: farò tutto io.++ Lei asseverata, io assoggettata ubbidii. Mi venne di fianco, mi slacciò i jeans, me li strattonò fino alle ginocchia. Intuendo quanto stava facendo le facilitai il compito dandomi una leggera flessione. Poi fu la volta della mutandine.Dopo pochi secondi avevo il culetto nudo sulla sedia. Dxxx impugnò l’utensile per lo stelo di ferro sotto il manico sbirciandone approssimativamente la lunghezza complessiva che lei ritenne attagliata alla mia misura. Si accovacciò e da sotto le cosce avvicinò minacciosamente la testa della protesi che fungeva da cazzo alla mia fenditura, che, io spaventata, la protessi con una mano. ++Ma ché ti metti a fare l’ingenua verginella?++ --Ma è troppo grosso, troppo duro, non voglio-- ++Non è mai troppo grosso e poi questo non viene né ti mette incinta++ Questo fu il suo commento. Con la sinistra mi tolse la mano e con l’altra mi appoggio sulle grandi labbra la testa dell’arnese. Dopo averlo maneggiato, trovata la conca del canale navigabile: spinse. Già infoiata da quanto era accaduto prima la mia reazione fu: --hhooo-- ero così bagnata che scivolò dentro come nel burro fuso. Muovendo il cacciavite avanti e indietro in docili movimenti soppesò la lunghezza e il punto esatto in cui doveva impugnarlo. Senza quell’accorgimento in una spinta cruenta mi avrebbe sfondata la cervice. Mi si avvicinò, poi incominciò a muoverlo rapidamente, poi rallentava, lo tirava fuori e lo ricacciava dentro con impeto facendo sbattere il suo pugno adibito a tampone contro le mie frattaglie. Splac. splac. splac: il ritmo dapprima era lento, poi accelerando gradualmente i movimenti divenne violento e infine esplosivo. ++ Ti piace è++ Annuendo deglutii. Dxxx mi osservava, era lì accovacciata accanto a me che si mordeva le labbra e ansimava. E a me piaceva sentirla. Mi sentii assalire da una vampata di calore. -- Sì! hooo! cielo! che bello! dai! più forte!-- Mentre era concentrata sulle manovre col cacciavite mi strinse un capezzolo. Me lo strinse da farmi male. ---Ahhiiaa.--- A lei piaceva il dolore e pensava piacesse anche a me, ma in questo eravamo agli antipodi. Dxxx quando si impegnava sapeva essere porca e sadica: la ragazzaccia della porta accanto. Aprii gli occhi incrociando il suo sguardo. Lei seguiva ogni espressione del mio viso, ogni rantolo e li accordava con spinte armonizzate. Serrai le gambe, mi strinsi il cacciavite dentro, dimenai il bacino e emisi un gemito. --Hoo mamma che bello! dai, ancora!-- Si dondolò dolcemente dentro di me sfregandomi il clitoride contro la sua mano. La vagina si era messa a palpitare, avevo così bisogno di sentire una voce umana che anche la mia poteva bastare. -- Piano, piano, rallenta ma senza fermarti, ti prego! hooo. hooo.-- Ormai avevo perso il controllo, mi ero contratta, stavo per godere. Il ventre mi pulsava facendomi scrollare le gambe in scosse automatiche. Lei caldeggiò la mia supplica modificando il movimento da stantuffo in rotatorio. Col manico del cacciavite tutto dentro e la mano pressata contro la mia carne viva, si mise a roteare in senso destrorso e poi sinistrorso. Venni invasa all’interno da un fuoco liquido che mi disfece in uno degli orgasmi più intensi che avessi provato fino a quel giorno. Quando rinvenni dal buio e tornai in me Dxxx mi teneva con una mano ben stretta. Ero in bilico, stavo per cadere all’indietro sedia compresa. ++ Ecco qua la nostra micia in calore, a giudicare da come hai sgambettato si direbbe che quel giovinetto che ti ha corteggiata doveva essere assai avvenente.++ Nel profondo mi sentii venir meno! Un ragazzetto maturo di 43 anni. Provai rimorso, ma ero costretta al silenzio. Portai lo sguardo sul suo viso colmandola di un sorriso radioso e amichevole. --No! sei tu che sei stata brava, tu sei proprio brava! Con una amica come te potrei anche fare a meno di amanti maschi!-- ++ Sciocca, senza quel corteggiatore ora staresti facendo i compiti.++ I compiti, era tardi e dovevo darmi una mossa. Avevo ancora le gambe sul tavolo e il cacciavite dentro che penzolava tra le gambe. Andai per togliermelo ma lei mi anticipò. Lo estrasse con cura e me lo mostrò. Aveva le scanalature colme di una pasta biancastra e grondava come se gli avessi pisciato sopra. I commenti ce li risparmiammo per la prossima volta. Fradicia di sudore, senza lavarmi ne pulirmi mi risistemai i miei indumenti. Dopo una quarantina di minuti con ancora la figa sconciata lasciai la casa di Dxxx. Le giornate si erano accorciate e la luce stava lasciando spazio al crepuscolo. Sapevo che arrivata a casa avrei dovuto assorbirmi con la consueta rassegnazione anche l’ultima porcata. Lo scimmione mi stava di sicuro aspettando con impazienza e quel giorno avrebbe trovato il sentiero sdrucciolevole, che, come in altre circostanze simili ne avrei attribuito la causa alla sella della bici birichina. Sarei entrata in bagno, dopo alcuni minuti sarebbe arrivato lui col cazzo eretto, io avrei controllato la correttezza del guanto poi mi sarei girata. Dopo essermi scoperta le pudende, mi sarei messa a 90°e sorretta ai rubinetti del bidè. Con le orecchie allungate tanto da sentire l’erba crescere, il cazzo di mio fratello mi avrebbe dragato nelle cavità della fogna. Sarei rimasta vigile per discernere i normali rumori del mestiere con lo scricchiolio di una serratura che si apre. Avendo entrambi lo stesso timore e fretta di concludere non si sarebbe risparmiato e in due, tre minuti la doverosa fottuta sarebbe arrivata al traguardo. Nei giorni che seguirono altro non facevo che pensare a come affrontare il molteplice grattacapo in cui di mia scelta mi ero cacciata. L’attempato mi agognava perché mi considerava ancora immacolata: una ragazza liliale. Ricostruire l’imene sbrindellata sapevo che di sicuro sarebbe stato impossibile. Non mi restava che escogitare una specie di messa in scena. Avrei dovuto ricorrere a una rattoppata almeno per simulare. Ma come? Non potevo confidarmi con nessuno né potevo chiedere consigli. Avevo una bella gatta da pelare.
5 - Il mio umore come le mie decisioni variavano a giorni alterni. Affossare il progetto sarebbe stata la soluzione più liberatoria, ma poi la prospettiva di poter usufruire della pillola e ancor più della pecunia che, per chi non navigava nella bambagia tornavano argomenti vulnerabili. Potevo ripetere lo stesso metodo che avevo usato con mio fratello il quale ci era cascato e si era convinto di avermi deflorata e per questo credo provasse, poi, in seguito, una specie di rimorso per avermi tolto la purezza che avrei dovuto offrire nel mio primo idillio. Sono sempre stata dotata di debole capacità di decisione e non potendo fare prove tecniche una gaffe avrebbe accelerato la mia disfatta. Sottovalutare sarebbe stato un rischio troppo grande. Poi, un giorno decisi di dargli un taglio netto e di metterlo a conoscenza della mia situazione inventando qualcosa di credibile. O se ne sarebbe fatta una ragione accettandomi com’ero, o non se ne faceva niente. A conti fatti se la sarebbe spassata con una gallinella ruspante di campagna, ingenua come un pollo da spennare, godibile appieno e a portata di mano che per una sventura (ancora da macchinare) aveva perso la verginità. Temevo che prendere per i fondelli un uomo di mezza età navigato in fatto di sesso, il quale se fosse riuscito a districare l’intera matassa, correvo il rischio di farmi inchiappettare: e non in senso traslato. Ormai avevo deciso, non sapevo ancora come e cosa avrei escogitato ma avevo fiducia nella mia buona stella, e, come spesso capitava una bella mattina mi sarei svegliata con la soluzione dell’enigma. Trascorsero una decina di giorni ed era tempo di giungere al sodo. Lui conosceva i miei orari e il mio tragitto, se voleva pucciare il biscotto si sarebbe rifatto vivo. Infatti un pomeriggio rividi il furgone. A cuor leggero mi comportai come al solito. Lo vidi nei pressi del veicolo, sembrava mi stesse aspettando. Come mi avvicinai mi disse che aveva qualcosa per me. La porta laterale era aperta e senza indugiare salii. Dal posto di guida mi porse un sacchetto che io ne scrutai il contenuto. Dentro c’era una scatola e una busta: compresi subito di cosa si trattasse. In uno sbuffo sommesso mi disse: °° io ho mantenuto la parola, ora tocca a te essere fedele alla promessa.°° Restai immobile come un dipinto. Lui mi sorrise, di un sorriso radioso e amichevole, in quel suo modo lento e vero e puro che mi fece pensare a uno specchio d’acqua trasparente. A me invece qualcosa mi strisciò lungo la spina dorsale. La mia contentezza scomparve. Seriosa gli risposi. --Sei stato bravo, ti sei dato da fare, un vero portento. Ti meriti la mia gratitudine. Sono alcuni giorni che ti stavo cercando perché avevo una cosa che ritengo molto importante sulla quale volevo il tuo parere. Non ne potevo parlare con nessuno, tu sei l’unico con cui possa confidarmi.-- °° Ma certo, mi fa piacere che tu abbia scelto me, questo mi fa ben sperare.°° Non mi faceva piacere rifilargli quel resoconto truccato, ma non avevo scelta. --E’ successo dopo l’ultima volta che ci siamo visti, dopo il tuo racconto per me piuttosto erotico, quando abbiamo appreso il ritorno mi sentivo strana. Ero ancora seduta proprio qui e provavo come un grampo, avevo come un fastidioso prurito qua, in basso. Mi toccai e mi piacque. Con più mi massaggiavo più mi piaceva. Quando poi sono scesa e ho inforcato la bici la sella mi ha provocato una sensazione tanto piacevole che avrei voluto non finisse mai. Arrivata a casa dalla mia amica feci il possibile per mascherare il mio turbamento. Sentivo freddo in mezzo alle gambe. Allora decisi di andare in bagno per appurare quello che stava accadendo. Ero tutta bagnata. Mi tolsi le mutandine per asciugarle con un fon, ma prima mi lavai in quel posto dove tu hai infilato il tuo arnese alla ragazza di quella notte. E che lei ha tanto gradito. Sai, il tuo pungente racconto mi ha come: stregata. Con più mi toccavo con più mi piaceva. Poi ho visto un flacone di shampoo dalla forma cilindrica e mi venne una idea. Perché non esperire? Così, tanto per provare come poteva essere. Chiusi il coperchio del water, poi appoggiai il flacone sopra e io a gambe aperte mi ci sono appoggiata sopra. Pur facendo molta attenzione a mantenere un soffice contatto con la parte esterna della mia stretta fenditura provavo un intenso piacere. Ad ogni secondo che passava mi piaceva sempre di più. Mi sentivo dentro come avvampare, una sensazione nuova, che mi terrorizzava ma che volevo continuasse perché incredibilmente piacevole. Bollivo! bollivo sempre di più fino a quando dentro di me si scatenò il delirio. La sensazione fu così forte da trasformarsi in sofferenza. Alcune ondate di godimento mi pervasero per tutto il corpo. Quando mi sono ripresa ero seduta sul coperchio, appoggiata di spalle al muro col flacone tutto dentro, proprio in mezzo alle gambe: ma non ricordavo più l’esattezza di quanto era successo: capisci la situazione, vero? Che dovevo fare? Trascorsero alcuni minuti di una lentezza esasperante, ne trascorsero non so quanti prima di decidermi cosa fare davanti a quel angoscioso bivio. Mi alzai, il flacone l’avevo risucchiato tutto dentro, mi bruciava, dovetti estrarlo con le dita e quando lo guardai era insanguinato. Mi faceva male, provavo un dolore come se dentro qualcosa mi mordesse, ero spaventatissima e tutta in fiamme. Preoccupata per il mio ritardo la mia amica bussò alla porta nel timore che stessi male. Paventai di aver gridato. Inventai una balla: le dissi che avevo preso un colpo di freddo e mi era venuto un brutto mal di pancia. Dopo un bel po’ di angoscioso arrovellamento affrontai il peggior incubo che avessi mai sperimentato. Lavai la bottiglietta, mi tamponai il passerotto con della carta igienica, mi rimisi mutande e jeans poi, per non creare sospetti dovetti uscire. Le gambe mi tremavano, ero svigorita, sono stata tanto male. Anche il giorno dopo soffrivo nel camminare. Ora sono disperata e sto tentando in tutti i modi di cancellare la mia vergogna: ma che ci posso fare? E’ successo, a chi potevo chiedere consiglio e aiuto se non a te? Ma il giorno dopo tu non c’eri. Se non mi avessi raccontato così dettagliatamente il tuo episodio di quella sera non sarei mai caduta in tentazione.-- Raccontai la storiella in modo scorrevole, senza esitazioni, come se fosse la verità assoluta. Non era del tutto inventata, ne avevo elaborato il succo da un precedente esperimento messo in opera cimentandomi con un cetriolo alcuni mesi prima, quando ero ancora effettivamente una verginella. (vedi le mie prime esperienze.) Egli mi guardò con la stessa espressione di un piatto vuoto. Nei suoi occhi lessi una fitta delusione e allo stesso tempo un’ aria di profonda rassegnazione. Cercai di immaginare come avrebbe reagito, mi aspettavo un attacco di bile o avesse fatto il diavolo a quattro, invece mi pennello con una occhiata vacua, poi mi guardò battendo le palpebre e, rilassato, un sorriso gli comparve agli angoli della bocca. °° Direi che ce l’hai fatta a toglierti da sola la virtù a cui tanto tenevi, be’ sai che ti dico, non mi dispiace del tutto, una responsabilità che non mi dovrò addossare: °°se non c’è stato altro.°° Mi guardò come se sapesse cosa mancava e volesse farmelo dire. Annuii, arricciando le labbra con una espressione saputa, come se non avessi mai pronunciato parole più vere. --Non c’è stato altro.-- °°Quanto era grosso il flacone?°° --Non saprei, circa così!-- Disegnai un cerchio con il pollice e l’indice. °° Il mio cazzo è molto più grosso, forse c’è rimasto qualcosa di buono anche per lui.°° --Più grosso? quanto più grosso!-- Come se avessi sentito male e volessi essere sicura.. °°Parecchio°° --Mi farai ancora soffrire?-- °°Le altre non si sono lamentate°° -Quante altre- avrei voluto chiedergli, ma temevo di indagare in una parte della sua vita della quale non mi aveva ancora resa partecipe. Continuò l’interrogatorio e io dovetti rispondere a altre domande delicate. Quanto tutti gli argomenti furono illustrati i trenta anni di età che ci separavano si erano spianati, dissolti come la bruma del mattino. Il tempo per gli imboccamenti era scaduto, il prossimo incontro sarebbe stato quello conclusivo. Stabilimmo un pomeriggio di un giorno conveniente per entrambi.
Durante i giorni di attesa mi prodigai per escogitare uno escamotage per rendere il più veritiero possibile quello che doveva essere il mio parziale stato virginale: almeno, per quanto riguardava lui e il suo proposito di spalancarmi una nuova via al piacere. Avevo letto che in certi periodi della storia le ragazze si facevano abluzioni interne di corbezzolo il quale avendo proprietà astringenti contribuiva a restringere il canale vaginale. In altre riviste era scritto che i prosseneti misero a punto un trattamento speciale per provocare il restringimento delle mucose con frizioni di crema astringente composta in un intruglio di vaselina bianca, tintura di rosa, tintura di ruggine e tintura di acido caprico, poi, con una lozione ottenuta dalla macerazione di china grigia; infine per concludere bagni di aceto forte e tintura di rosa rossa. Oltre alla assoluta astinenza. Dopo una quindicina di giorni con quel trattamento l’ingresso della figa si sarebbe talmente striminzito che la ragazza appariva come se avesse l’imene integro. Tutte prerogative per me inattuabili. Avevo poche alternative. La farsa non sarebbe stata il miglior modo di cominciare una cosa, pur tuttavia decisi di applicarne almeno una: quella che avevo sperimentato con il profano fratellino. Al momento sembrava solo una vaga possibilità, ma riflettendoci cominciò a sembrare promettente. L’esperienza non mi mancava, avevo imparato che un insieme di lamenti da prefica, aggiunte a un po’ di astuzia e qualche macchia di rosso analogo al sangue, avrebbero potuto contribuire al successo. Passai ai preparativi pratici. Non avevo e non portavo slip come indossava la mia mica Dxxx, per rendermi più provocante mi risolsi ad adattarmene un paio. Recuperai un paio di mutande scartate da mia madre e conservate per essere usate come stracci per le pulizie. Con una forbice li rifilai rendendole talmente succinte che un costume da bagno sarebbe stato castigato. Li indossai e ne esaminai l’efficacia allo specchio. Sul davanti avevo lasciato una sottile striscia che a malapena copriva la lunga fenditura lasciando debordare ai lati gli addensati cespugli di pelo nero. Mi girai, il deretano era tutto scoperto, la sottile lingua di tessuto si era arrotolata e immersa nella fessa tra le montagnole sode e ben tornite: anche se avevo solo tredici anni intrattenevo migliaia di fantasie sul suo futuro. Un giorno segui mia madre mentre si cimentava nel preparare una torta.
La vidi usare uno sciroppo rosso molto simile al colore del sangue. Quella sostanza destò in me quello che poteva essere il preparato idoneo per risolvere il mio espediente. La soluzione per l’ultimo, il più vitale dei miei assilli. Il sangue! Mi impossessai della sostanza e a piccole dosi feci alcune prove di compatibilità, ovvero se le mucose e i meandri della vagina fossero allergici a quel preparato culinario. A distanza di ore non ebbi alcuna irritazione ne effetti collaterali. Per completare i preparativi ne aspirai una porzione dal vasetto con una siringa del tipo di quelle che usava mio padre per fare le iniezioni agli animali. Aveva le dimensioni di un piccolo cazzo, lunga tredici centimetri e ventotto millimetri di diametro, con una capacità di cinquanta millilitri, ma io per ragioni di spazio mi dovetti limitare a trenta. La nascosi nella mia stanza e: tutto era predisposto. Mi misi in sospensione e il pomeriggio famigerato arrivò. Recuperai la siringa poi la misi nello zainetto. Mi tolsi le mutande e le misi insieme alla siringa, poi indossai gli slip scandalosi e: ero pronta. Come consuetudine giunsi in bici al solito posto. Il furgone era già in posizione. Guardinga come mia abitudine, con prudenza e circospezione salii dalla porta laterale. Dopo un ciao, il candidato stupratore si congratulo per la mia prontezza e puntualità. Il furgone si mise in moto e con lui si aprì il sipario. Mentre stavamo proseguendo per l’alcova mi cullavo nei miei pensieri. Mi chiedevo se gli sarei piaciuta o se mi avesse trovata deprimente. Non avevamo stabilito cosa avrei dovuto fare, né quanto sarebbero stati cospicui i proventi o se fossi stata declassata ora che gli avevo dichiarato di avere una crepa in più. In certi momenti mi sentivo così fuori dal mondo che mi sembrava di vivere in un romanzo, e mi chiedevo chi me l’aveva fatto fare? Si! Perché no! I soldi? Era quella la grande motivazione? Il fine ultimo? A tutt’oggi non saprei darmi una risposta fondata.
Sentivo dentro di me che non sarei mai riuscita a oppormi risolutamente a chi spasimava per avermi. Come se avessi un obbligo in seguito ad una promessa, un vincolo morale assunto verso di loro. Intanto il furgone si fermò e con esso le mie meditazioni. Eravamo arrivati. Come nelle precedenti scappatelle scesi e ci dirigemmo nel suo ufficio conformato a postribolo. Ero rilassata, come se quello che stava per accadermi non mi riguardasse. Come se il fatto di stare per essere fottuta da un adulto in un luogo in cui non avevo scorciatoie né vie di fuga non mi sfiorasse la mente. Ero invece titubante sulla membrana, o sulla sua parziale rimanenza che lui come un toro in astinenza forzata pronosticava di poter sfondare. Di certo non l’avrebbe rilevata e di sicuro quel legittimo sospetto l’avrebbe tormentato a lungo. Più riflettevo più l’idea mi inquietava. Avendogli dichiarato di essermela rotta da me in un fai da te, se mi fossi tradita, temevo che il sodalizio della mia arte e del mio ingegno utilizzati per ingannarlo si sarebbero ritorsi contro di me. Entrammo e richiuse la porta dietro di se. Eravamo soli perché farlo? Mi sforzai di convincermi che - dovendoci spogliare- l’avesse fatto per mantenere la temperatura.
Mi guardò, io retrocedetti di poco e mi appoggiai al muro. Mi rassicurai quando mi rivolse un’occhiata infinitamente affettuosa e tese la mano per accarezzarmi la testa. Mi aspettavo che mi saltasse addosso e dopo dieci minuti sarei corsa a farmi dare dei punti, invece mi chiese,°° ti andrebbe un goccetto per darti un po’ di impudenza? °° Con la testa dissentii. Mi scoccò un altro dei suoi amabili sorrisi. La mano dalla testa scese sul collo, girò attorno e scese sul mio corpo tremante.
La prima cosa della quale decise di liberarmi fu lo zainetto. Quando lo vidi appoggiarlo sulla scrivania provai un brivido; aveva le dita a pochi millimetri dalla siringa con dentro l’intruglio sibillino. Una finta indifferenza mi avvolse. Passò al golfino. Poi la sua mano si adagiò sui bottoni della camicetta e incominciò a slacciarmeli, uno ad uno. °°E’arrivato il momento di dare una occhiata alla mercanzia.°° Aveva detto. Mi ero messa in vendita come una puttana e dunque mi stava valutando? Quelle parole mi fecero trasalire e per un istante provai una umiliazione cocente.
Il suo volto si avvicinò paurosamente al mio, posò le sue labbra infuocate sulle mie e mi mise la lingua in bocca. Mi piacque il suo modo delizioso di farmela roteare con la mia. Mi succhiò le labbra, godendosele come se fossero una prelibatezza. Rapita da quel bacio mi si arricciarono le dita dei piedi Il volto mi divenne paonazzo. All’improvviso pensai a quanto fosse strano dopo tutti i preparativi per incontrarmi con quell’uomo e diventare rossa come una bambina di cinque anni. Non sapevo che fare, fingere di non conoscere il gioco o prendere a modello e di rimando imitarelo. Rimasi immobile, come se fossi intirizzita. °° Ti piace?°° Mi domandò. Con un segno della testa annuii.
7- La sua bocca e la sua lingua incominciarono a girarmi attorno mentre io restavo immobile in una gran calura... Premette più forte la sua bocca contro la mia godendosi di ogni mio sospiro.
Egli procedeva con la grazia armoniosa di un atleta naturale, ma con momenti di aggressività e passione. A volte diventava lieve come il tocco di una farfalla. Le sue mani erano asciutte e forti e il suo contatto mi piaceva, e il pensiero che forse mi piaceva un po’ troppo mi diede una vaga fitta di preoccupazione. La camicetta era ormai sbottonata e ci vollero solo pochi secondi per denudarmi dalla cintola in su. Lo scorsi guardarmi. L’atmosfera nel l’incipiente casino era in procinto di prendere fuoco. Mi stavo arrapando. Le sue mani si tesero di colpo e mi afferrarono i seni. Me li strinse da farmeli sentire trasudare nelle palme di lui e ne sentii la forza straripante. I muscoli del suo viso si erano tesi in linee piatte. Le gambe mi mancarono e mi piegai verso di lui.
Mi sentivo incerta sulle gambe come una puledra che si sforzasse di restare in piedi. Mi prese il viso tra le mani e mi tirò su,io mi alzai sulla punta dei piedi, poi la sua bocca si fece calda appoggiata sulla mia che si aprì per aderire al suo bacio. Mi strinse tra le braccia togliendomi quasi il respiro, provai all’altezza dell’ombelico una pressione come se avessi urtato contro a una statua di marmo: dura come il granito. Poi mi lasciò andare con la stessa rapidità con cui mi aveva presa.
Con voce rauca mi disse: °° Lo sai che per colpa tua sono sempre infatuato? °° Santo cielo! Possibile che gli importasse così tanto di me. Poi continuò. °° Appena ti penso mi diventa duro e mi devo fare una sega, altrimenti scoppio. °° Ribadii con un esile filo di voce. --Che cosa ti aspetti da me? Io non so fare niente, cos’è una sega?-- °°Ti insegnerò, dovrai solo ubbidire. Se in questo momento hai bisogno di una dimostrazione sono pronto ad assecondarti°° Le sue mani scesero strusciando sul mio corpo per raggiungere la cintola. Stava per spogliarmi nuda quando trovai la voce per dirgli che mi sentivo sudicia, che avevo bisogno di qualche minuto per rinfrescarmi e sentirmi a mio agio. Con la sua solita sicurezza mi rispose di comportarmi come meglio credevo, non v’era nessuna fretta e nel frattempo si sarebbe preparato anche lui. Mi limitai a uno sguardo interrogativo. Che cosa avrebbe fatto per prepararsi? Non ne avevo proprio un’idea, ma avevo capito che per me era giunto il momento di agire prima che fosse troppo tardi. Coi capezzoli esposti e turgidi mi staccai da lui, raccolsi lo zainetto e mi chiusi dentro il bagno. Mi tolsi jeans e slip restando nuda, feci la pipì poi mi lavai. Aprii lo zainetto e recuperai la siringa. A quel punto i dubbi mi assalirono. All’improvviso mi sembrò che inocularmi trenta millilitri di quel dolciume fosse una quantità esagerata. Se mi fosse colato tra le gambe anzitempo per forza di gravità mi sarei tradita. Che fare? Non avevo molto tempo né molte alternative su cui ragionare. Anche i miei pensieri si erano confusi e fatti inquietanti lasciandomi poco spazio per le soluzioni. Ero precipitata nel caos e al solito schiava dell’emotività sarei riuscita solo a combinare casini. Mi affidai alla mia buona stella sperando che fosse lì ad ascoltarmi. Mi misi a pensare un istante: la giusta orbita, non troppo alta non troppo bassa: la via di mezzo. Accarezzai quella idea. Umettai la siringa con saliva, aprii le gambe e me la infilai tutta dentro fino alla base. Serrai le cosce e con un dito tra di esse cercai lo stantuffo, indi dopo averlo trovato pigiai dolcemente. Ma non accadde nulla, il liquido denso non fuoriusciva, occorreva una pressione più intensa. Premetti più forte e lo stantuffo cedette d’un sol colpo andando a fondo. Temetti di essermi iniettata tutta la sostanza. Mi sfilai la siringa e constatai che era vuota. Che dovevo fare? La paura mi invase. Applicai l’unica soluzione che mi parve plausibile. Dovevo tamponare. Non avendolo mai testato non avevo una idea precisa di come sarebbe finita né delle sue conseguenze. Presi due quadrati di carta igienica e mi la infilai su per la vagina spingendola più in alto che mi fu possibile, allo scopo usai ancora una volta la stessa siringa svuotata. Per un attimo mi balenò per la mente se era essenziale tutto quell’intrigo, se quel rituale arcaico del sanguinamento fosse imperativo. D’altronde gli avevo annunciato che mi ero rotta la figa da sola, da autodidatta in un fai da te e potevo anche persuaderlo che il flacone da me impiegato aveva dimensioni molto più generose, ma, che per pudicizia avevo mentito sulle sue misure. Potevo aggiungere che l’avevo fatto perché ero stata curiosa di conoscere se per quella fessa così apparentemente stretta ci fosse passato, un semplice rodaggio solo per preparargli una calda accoglienza. E se avessi avuta l’imene accondiscendente? Che ci avrei potuto fare? Mica siamo tutte uguali. Tutti dettagli chimerici e superflui perché ormai il dado era tratto e non potevo più tornare indietro. Era giunto il tempo di concentrarmi per la seconda sceneggiata. Nel secondo atto avrei dovuto resistergli, se mi voleva avrebbe dovuto prendermi con la forza. Solo con un vero stupro come aveva fatto con quella ragazza avrei creato un clima d’incertezza, e la verifica per lui sarebbe risultata difficilmente comprensibile. Mi misi gli slip stringati e scandalosamente indecenti, indossai di nuovo slip e jeans e a tette al vento uscii dal bagno, chiusi la porta alle mie spalle e mi girai. Hoooo! La mia bocca disegnò un cerchio perfetto.
Mi trovai a un paio di metri un uomo nudo che sembrava non avesse nulla a che fare con quello che avevo lasciato pochi minuti prima. Davanti a me si ergeva un uomo peloso, ma così irsuto da non scorgere il colore della pelle. la lanosità del petto e delle braccia gli dava un aspetto scimmiesco. Abbassai lo sguardo soffermandomi sul triangolo genitale altrettanto folto e nero dal quale emergeva un tizzone lungo una ventina di centimetri che vedendomi s’innalzava come manovrato da una leva meccanica della quale ne immaginavo gli ingranaggi che giravano. Il mio sguardo dardeggiò ancora più in basso, sulle gambe magre e pelose come un orso. Poi mi soffermai sul cannone che aveva ormai, dritto come un fuso, raggiunto la massima elevazione. -- No!!-- Sbraitai indietreggiando. -- Ho cambiato idea.-- Ripiegai per rifugiarmi in bagno ma feci appena dieci centimetri e l’uomo peloso mi fu addosso. °° E no piccoletta, sarebbe troppo comodo e poi devi imparare a essere coerente con gli impegni presi.°° Gli mostrai i palmi della mani come per proteggermi da lui lasciandomi scivolare adiacente al muro. Accovacciata sul pavimento, rannicchiata in posizione fetale esclamai. --Ho paura! Non voglio!-- °° E di che se e lecito saperlo °° --Non sapevo, non credevo che il cazzo fosse tanto lungo e tanto grosso: mi farai tanta bua -- °° Non essere patetica, dovrai solo fare un po’ di confidenza con lui, poi vedrai che andrà tutto bene.°° Aveva lo sguardo severo, contrariato per il mio improvvido mutamento. °° Intanto togliamo subito questi. °° Mi tolse le scarpe e afferrati i jeans brutalmente me li sfilò. Restai coperta solo dagli slip: concretamente nuda. Si inginocchiò contro di me, e con la sua solita calma e sicurezza mi propose: °°su! da brava bambina, tanto per rompere il ghiaccio giocherella con questo, non volevi sapere cos’è una sega? adesso te lo insegnerò.°° Senza premeditazione avevo scelto la posizione ideale per fargliela: il preludio di quello che, “da debuttante” avrebbe dovuto essere il mio primo pompino.
8-- Mi prese una mano e me la portò in procinto di afferrargli il manganello. Io, con mano tremante resistetti, poi lo toccai a piccoli tocchetti come se volessi testarne la pericolosità. Dopo un paio di tentennamenti la mano si strinse su di esso con evidente rassegnazione. Mi parve di brandire un tizzone ardente. Mi opposi con forza e lo mollai subito. Il suo volto stagionato si aprì in un ghigno crudele poi uno sguardo glaciale si posò su di me. Gridai --No! non voglio! voglio tornare a casa!-- °°Perché non ti piace quello che vedi? ci tornerai a casa, e un anche po’sgualcita dopo che ti avrò fatto la fattura. --Quale fattura! -- °°Lo sai benissimo, perché sei venuta qui? non vorrai darmi a bere che credevi ti avrei raccontata la storiella dell’ochetta bianca? e poi perché dovrei dare ascolto alle tue frignate quando so di sicuro tra qualche minuto griderai :ancora! ancora!°° --Hai un cazzo impressionante non lo voglio! mi vengono i brividi soltanto a guardarlo: non lo voglio!-- Il nuovo panorama che si presentava lo raggelò e il volto gli si accese per l’eccitazione. Dovevo resistere, ma non più di tanto. °° Brutta troietta, quando ce l’avrai tutto dentro ti passeranno tutte le tue fisime.°° L’uomo peloso mi riprese una mano e poi l’altra e me le porto all’altezza del suo cazzo poi mi disse: adesso stringilo e non fare storie o mi farai arrabbiare.°° Senza aggiungere altro feci l’intimorita e senza altri indugi ubbidii. Con la mano sinistra l’impugnavo appena sotto la cappella mentre con la destra lo stingevo oltre la metà dell’asta. Ora che dovevo fare? Assunsi una espressione assorta. Ero incerta se dimostrare il mio talento o manifestare incertezza e sprovvedutezza. Optai per l’ignoranza per poi dimostrare in seguito di essere una allieva provetta. Ogni volta che vedevo un cazzo mi veniva istintivo di fare i confronti con quelli con cui avevo avuto a che fare. Dovendo svolgere tutti la stessa funzione apparivano simili , ma diversi nei particolari. Quello che avevo stampigliato nella mente era il primo che avevo tastato: quello del mio fratellino, poi seguiva il secondo, quello del mio idolo, quello che mi aveva veramente svezzata sessualmente. Il confronto col primo non poteva reggere, mentre col secondo collimavano le dimensioni in lunghezza ma non per forma e diametro. Quello che avevo tra le mani non se l’era neppure scappellato; pensai che essendo convinto fosse la mia prima esperienza non temesse il confronto con altri cazzi, o forse a scopo didattico volesse lasciarne a me la messa in opera. Quello che me l’aveva rotta era rugoso come un arbusto di rosmarino, quello con cui avevo a che fare era liscio e morbido. La forma di quello che mi aveva deflorata era simile a un cilindro leggermente curvato verso l’alto, mentre quello con cui lo stavo confrontando assomigliava a un gigantesco cono di gelato. Subito dopo la trapezoidale cappella si allargava per arrivare alle sue massime dimensioni alla base che mi apparivano più che notevoli. Presagivo che la mia bocca sarebbe stata il calibro per la comparazione. I primi movimenti che feci con le mani furono scriteriati, senza arte né tecnica. Allorquando mi rammentò che non era un giocattolo fragile e non si sarebbe rotto. Alzai gli occhi in uno sguardo interrogativo: --che devo fare?-- la risposta non tardò a venire. °°Menalo, spingi e poi ritira, su prova.°° Incominciai a menare. --Così va bene?-- °°Anche più veloce°° --E’ come mungere!-- °° Si! solo che invece di mungere una vacca mungi il toro: ha-ha-ha.°° Quella risata mi mise di buon umore. Ricca delle mie precedenti esperienze ci diedi dentro e gli dimostrai che in men che non si dica ero diventata una esperta segaiola. Una spinta troppo energica scoprì completamente la cappella che poi restò in avanscoperta.
Ad ogni spintarella il cazzo rispondeva con un palpito ed era diventato duro come il granito. Dalla testa del serpente che mi fissava profetico sgorgò una goccia di una sostanza trasparente, filamentosa e setosa. Spalancai gli occhi e lo guardai come per chiedergli: Lui fece spallucce e sorrise come se mi avesse letto nel pensiero. Mentre io lavoravo di mani l’uomo villoso con quello che gli sarei venuta a costare non stette a ciondolare. Mi palpeggiava le cosce tutto attorno, poi si infiltrava con le dita all’inguine pizzicandomi la peluria. Risaliva attraverso i glutei fino alle poppe stringendomi capezzoli con una ferocia da farmeli sanguinare. Le mani strusciavano sulla pelle fino a farla cricchiare. Fino a quando una sua mano si posò tra i miei capelli. Sapevo con atterrita certezza cosa stava per accadere, inevitabile come la luna piena. Tentò di trainarmi la testa appresso il suo cazzo. Io resistetti. --No! questo mai! chiedimi quello che vuoi ma non questo! sono dispiaciuta che le cose non vadano come tu le desideri, ma non lo posso fare, sono ancora troppo piccola per queste volgarità.-- Dimostrai un senso di sgomento sorgere in me. °°Non è vero, hai l’età giusta per cominciare.°° -- Ho la bocca troppo piccola, affogherò.-- Mi scoccò una occhiata in tralice. Il mio rifiuto stava aumentando la sua collera. °°Mai sentito tante stronzate, su apri la bocca: su! almeno provaci!°° Tenendomi per i capelli con una mano, mi infilò in bocca due dita dell’altra. Li fece scorrere dentro e fuori e disse: °°vedi che ci passa? vedrai che andrà tutto bene.°° Senza altri indugi mi avvicino la testa del serpentone a ridosso delle mia labbra. L’odore sgradevole del maschio mi raggiunse le narici. Me lo mise a contatto con le labbra pronto per insinuarsi nei miei bagnati anfratti. Aprii lievemente la bocca e la testa carnosa e morbida si insinuò. Dentro lo percepivo duro come un bastone con una tacca. Provavo un leggero fastidio, il diametro era notevole, forse il più grosso che avevo provato. Soffermai la mano sinistra attorno al cazzo, appena dopo la scanalatura della cappella per frenare la sua brama che scorgevo molto simile a altri lascivi ospiti che avevo assaggiato prima di lui. Trattenni il respiro per circa un minuto poi sputai fuori tutto: cazzo e saliva. -- Affogo, non riesco a respirare, non puoi trattare in questa maniera una ragazza inesperta come me, non sono una delle tue sgualdrinelle-- °° Piccoletta, devi imparare a respirare con il naso, tutto qui: su riproviamo.°° Schiusi la bocca e il motore ripartì. Appena l’ebbi dentro mi ammaestrò su quanto avrei dovuto fare. °°Respira col naso e lavora di lingua: prima sotto e poi avvolgilo tutto. Si! così, brava, ora mentre lecchi deve anche succhiare: succhia forte.°° L’unica difficoltà che incontrai furono le misure, nonostante avessi in bocca solo la cappella mi faceva male la mandibola. Non sarei durata a lungo. °°Brava così, sei un portento, non mi sono sbagliato sul tuo conto. L’avevo intuito che sei nata troia, casta e pura fuori, tutto fuoco dentro: ed per questo che mi piaci.°°
A quella frase deglutii a fatica e scossi la testa, restai senza fiato e emisi un gemito-- Mmmm-- che mi fece uscire di senno. Mi liberai del tassello che mi ostruiva le fauci e lo redarguii: --Non sono una troia, sei tu che mi hai corrotta.-- °° E no, piccola, l’ho capito da come guardi, da come ti muovi, nei tuoi occhi è incarnato il vizio. Lo fai senza artifici, hai uno spiccato erotismo, sprigioni sensualità, sembri tutto candore e virtù invece nascondi un angelo con la capacità di ingannare perfino il diavolo.°° Mi ero dunque tradita? Con un lampo la mia mente diventa folle, interdetta persi di lucidità. Come avrei fatto a levarmi da quel guaio? E bello grosso per giunta. E intanto l’uomo peloso continuava a spadroneggiare. °° Adesso devi finire quello che hai cominciato°° Ero ancora accovacciata sul pavimento aderente al muro quando lui in ginocchio davanti a me si alzò. ( CONTINUA IN "NEL MAGAZZINO 2)








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